sabato 15 novembre 2014

Mons Romero lasciato solo da Papa Wojtyla!

L'assassinio di Romero il 24 marzo 1980, mentre celebrava la S Messa
La vicenda di Oscar Romero

di Giovanni Franzoni*

È in atto il tentativo – così a me sembra, leggendo i più recenti libri su monsignor Oscar Romero scritti da persone «sensibili» ai desiderata della curia romana – di descrivere come idilliaci i rapporti tra l’arcivescovo di San Salvador e il papa. Credo che tale descrizione non corrisponda alla realtà, e che, al contrario, essa sottenda il forte desiderio di proporre, sulla vicenda, un Wojtyła «comprensivo» che non è esistito.

Varie testimonianze, tutte basate su affermazioni di monsignor Romero, concordano nel dire che il papa accolse con freddezza Romero quando (1979) a Roma lo ricevette in udienza. In proposito posso portare anche un’esperienza personale.

Nel febbraio 1989 ho incontrato a Managua una religiosa – suor Vigil – che lavorava presso il Centro ecumenico Valdivieso. Ella mi confermò di aver incontrato a Madrid monsignor Romero di ritorno da Roma (siamo sempre nella primavera del 1979) e di averlo trovato «costernato» per la freddezza con cui il papa, durante l’udienza, aveva valutato l’ampia documentazione, da lui stesso fatta pervenire in Vaticano, circa la violazione dei diritti umani e della vita di quanti si erano opposti, anche fra i suoi diretti collaboratori, all’oppressione esercitata dal governo salvadoregno sulla popolazione. Oscar Romero avrebbe ricevuto dal papa una secca esortazione ad andar «più d’accordo» con il governo.
D'Aubuisson il mandente dell'omicidio del vescovo

A commento di quell’udienza – mi riferì ancora suor Vigil – Romero disse alla religiosa: «Non mi sono mai sentito così solo come a Roma».

Il «clima» di quella famosa udienza non appare nella sua drammaticità dal diario di Romero, che di essa pure fa cenno. Ma trarre da tale silenzio prova per smentire la successiva, e ben più realistica, «confessione» dell’arcivescovo, mi sembrerebbe un’operazione apologetica per salvare Wojtyła. È evidente, infatti, che nella difficilissima situazione in cui si trovava, Romero «non poteva» condannarsi da solo, dicendo che il papa lo aveva rimproverato di «fare politica». Tanto meno poteva dirlo dal pulpito della cattedrale del Salvador. E, tuttavia, perché la verità si sapesse, e quasi a futura memoria, agli amici più intimi raccontò quanto disse anche a suor Vigil.

Al di là della vicenda dell’udienza, è un fatto che Wojtyła non fece gesti pubblici e inequivocabili per mostrare di essere dalla parte di Romero, e di sostenerlo. Del resto, se avesse voluto dire al mondo, con un gesto riconoscibile anche dai più umili, di essere dalla parte di Romero, Wojtyła lo avrebbe pur potuto creare cardinale nel suo primo concistoro (giugno 1979). Il che non fece.

Del resto, in oltre 26 anni di pontificato – e, cioè, sia prima che dopo la caduta del Muro di Berlino – Wojtyła ha mostrato, mi pare, un’incapacità radicale di cogliere la sensibilità di quei milioni di persone che vedevano in Romero un martire della giustizia, e la fondatezza pastorale ed evangelica di quei cristiani – religiose, preti, vescovi, laici, uomini e donne – che si ispiravano alla Teologia della liberazione. Una teologia con la quale, agli inizi, lo stesso Romero riteneva di non essere in sintonia, e della quale poi finì per incarnare in modo esemplare lo spirito.

Nessun vescovo dell’America Latina apertamente schierato con la Teologia della liberazione è stato creato cardinale da Wojtyła: non che essi cercassero tale onore, ma, nell’attuale sistema ecclesiastico, sarebbe pur stato importante che il papa mostrasse apertamente la sua stima dando all’uno o all’altro la porpora. Non solo: ma Wojtyła ha portato nella curia romana prelati latinoamericani apertamente ostili a Romero, accaniti avversari della Teologia della liberazione e, anche, talora, non troppo coperti amici di dittatori.

Se, in tutte queste vicende, Wojtyła si sia segnalato per la virtù della prudenza è tema che, ritengo, meriti approfondita riflessione. Molti dubbi, comunque, sono leciti. In particolare, non vi sono segni che egli si sia chinato per cercare di capire una «pastorale» e una «teologia» diversissime dalle sue.

leggi tutto (da Micro Mega)

*Giovanni Franzoni
 già abate di San Paolo fuori le Mura (nella cui veste – equiparata a quella di vescovo – ha partecipato al Concilio Vaticano II), è stato convocato agli inizi del 2007 dalla Postulazione per la causa dei santi per portare la sua testimonianza nel processo di beatificazione di Karol Wojtyła. Il ritratto del pontefice che emerge dalla sua deposizione giurata, che qui riproduciamo fedelmente, è assai distante dall’iconografia ufficiale.

martedì 11 novembre 2014

Accadde oggi: 2004 muore Arafat

11 novembre 2004, muore Yasser Arafat . Dopo 10 anni sono in molti a credere che il presidete dell' ANP e premio Nobel per la pace nel 1994,  sia Stato assassinato con il veleno.

lunedì 10 novembre 2014

ritorno a l'Avana

Chi ha sessant'anni ed ha Cuba nel cuore non può non vedere questo film. Un film che si svolge tutto su una sgummata terrazza sul Malecon (lungomare) dell'Avana.

E sulla terrazza cinque ultrasessantenni  che parlano del loro passato, dei sogni infranti dei post rivoluzionari e di tante altre cose che provocano sensazioni presumibilmente diverse in funzione della storia personale di ogni spettatore.

           Ma non voglio fare la critica al film o tantomeno  al regime castrista. Ognuno ha la sua opinione  e credo che il film la rafforzi (qualunque essa sia). No, voglio solo accennare alla presenza, nel film, di un personaggio che, per molti, è  inatteso: ... una bottiglia di Coca Cola. E tutti si chedono se la Coca Cola a Cuba esiste o se quella bottiglia sia stata importata clandestinamente  da uno dei personaggi che , per il suo lavoro , gira il mondo. E invece no. La Coca Cola a Cuba esiste. Ed esiste perchè non viene importata direttamente dagli USA, causa embargo, ma dal Messico. Anche se a guadagnaci è sempre la casa di Atlanta.  Ma che embargo è?