di Simona
Maggiorelli
Tra la fine
del Novecento e il primo quindicennio degli anni Duemila l'arte contemporanea
sembra aver vissuto una lunga notte piena di incubi orrorifici, quanto
improbabili. Si è dispiegato cosi un universo visivo di figure grottesche, di
funeree nature morte, di trovate goliardiche e raccapriccianti.
Nell'era
della riproducibilità tecnica sembra essere sparita l'opera d'arte. Ne resta
solo una vacua aura. A prevalere è una produzione di installazioni, video,
performance a effetto choc o che all'opposto (e in modo complementare, come se
fossero le due facce di una stessa medaglia) cercano l'anestesia più totale con
opere iper-concettuali, che celebrano il vuoto.
Nella
cosiddetta società delle immagini, della pubblicità, della fotografia, degli
avatar e della realtà virtuale, pare non esserci più spazio se non per
figurazioni svuotate di senso, e una desertificata astrazione. Cosi piace al
ristretto e facoltoso pubblico che frequenta le aste a Londra, a New York, in
Svizzera. Il valore economico delle mucche squartate e conservate da Hirst in
teche simil-acquario è da capogiro. Non importa se fra dieci anni saranno
poltiglia.
Per gli artifici della finanziarizzazione dell'arte contemporanea, per i tycoon ultramiliardari che le acquistano, conta la spettacolarizzazione, il gigantismo, la dismisura, in spregio alla crisi. Non importa se l'effetto è palesemente kitsch. Il fatto che opere di questo tipo siano diventate uno status symbol per pochi (chi, anche volendo, potrebbe tenerle in salotto?) ha fatto strage di ogni altro significato. Ai galleristi non importa se tutto ciò abbia provocato un impoverimento culturale della proposta, gli interessa che l'opera abbia le caratteristiche per essere vendibile all'upper class. Il pubblico che frequenta le biennali, le gallerie e i musei del contemporaneo, del resto, non se ne lamenta.
Per gli artifici della finanziarizzazione dell'arte contemporanea, per i tycoon ultramiliardari che le acquistano, conta la spettacolarizzazione, il gigantismo, la dismisura, in spregio alla crisi. Non importa se l'effetto è palesemente kitsch. Il fatto che opere di questo tipo siano diventate uno status symbol per pochi (chi, anche volendo, potrebbe tenerle in salotto?) ha fatto strage di ogni altro significato. Ai galleristi non importa se tutto ciò abbia provocato un impoverimento culturale della proposta, gli interessa che l'opera abbia le caratteristiche per essere vendibile all'upper class. Il pubblico che frequenta le biennali, le gallerie e i musei del contemporaneo, del resto, non se ne lamenta.
Il Nobel Mario
Vargas Lllosa si è permesso di prendere in giro l'ossequio verso l'arte
iper-concettuale che appare oggi generalizzato. Ha commesso questo 'peccato'
nel 2016, scrivendo sul quotidiano spagnolo "El País"
dell'esperienza che ha fatto durante una giornata libera a Londra. «Per
dimenticare la Brexit», dice di aver deciso di andare a vedere il nuovo
edificio della Tate Modern: «Come mi aspettavo, ci ho trovato l'apoteosi della
civiltà dello spettacolo», tanto da voler rinunciare.
Poi però, vedendo tanti giovani e turisti, si è messo in scia per cercare di capire i motivi del loro entusiasmo. Al primo piano del museo è stato colpito dallo zelo con cui una insegnante cercava di convincere la scolaresca che quel manico cilindrico, probabilmente di scopa, esposto con cura, era di fatto una scultura «a cui l'artista aveva tolto le setole di saggina o di nylon che l'avevano resa funzionale, come oggetto quotidiano per le faccende domestiche». Che fosse una scultura era evidente perché intorno al manico una corda formava un rettangolo che impediva agli spettatori di avvicinarvisi troppo e di toccarlo.
Poi però, vedendo tanti giovani e turisti, si è messo in scia per cercare di capire i motivi del loro entusiasmo. Al primo piano del museo è stato colpito dallo zelo con cui una insegnante cercava di convincere la scolaresca che quel manico cilindrico, probabilmente di scopa, esposto con cura, era di fatto una scultura «a cui l'artista aveva tolto le setole di saggina o di nylon che l'avevano resa funzionale, come oggetto quotidiano per le faccende domestiche». Che fosse una scultura era evidente perché intorno al manico una corda formava un rettangolo che impediva agli spettatori di avvicinarvisi troppo e di toccarlo.
La
tentazione, confessa Vargas Llosa nel suo report, sarebbe stata dirle che ciò
che stava facendo «con dedizione, ingenuità e innocenza, non era altro che
contribuire a un imbroglio monumentale, a una sottilissima congiura poco meno
che planetaria su cui gallerie, musei, illustrissimi critici, riviste
specializzate, collezionisti, professori, mecenati e mercanti sfacciati si sono
messi d'accordo per ingannarsi, ingannare mezzo mondo e, di passaggio,
permettere che pochi si riempissero le tasche grazie a una simile impostura».
Benché negli
anni Ottanta abbia tenuto a battesimo la Transavanguardia, lo stesso Achille
Bonito Oliva ha denunciato l'effetto omologante della globalizzazione
sull'arte. Visitando il MoMA, il Guggenheim di New York, il Centre Pompidou nel
cuore di Parigi o la Tate Gallery vicina alla City di Londra, sarà capitato a
molti di notare che le rispettive collezioni si assomigliano in modo
impressionante, tanto da avere la sensazione di un continuo déjà-vu.
Scherzi da buontemponi, si dirà, come quella volta che alla Biennale di Venezia
un visitatore si è divertito a mettere in posa un sacchetto pieno di
spazzatura per godersi lo spettacolo di acritici spettatori che si fermavano a
osservarlo con aria seria e contemplativa. Iper-realismo incellophanato, vacuo
estetismo, provocazione fine a stessa compongono la trama invisibile che
percorre tante Biennali anni Novanta e Duemila, da Venezia a Istanbul, passando
per una fiera di tendenza come Frieze London, per la mostra mercato di Basilea
e la prestigiosa DOCUMENTA di Kassel. Non credendo a Hegel e alla sua profezia
sulla morte dell'arte, torna la domanda: cosa è accaduto? Come si è arrivati
fin qui?
..... questo post è il riassunto dell'articolo completo che potrete leggere cliccando qui sotto su "Link articolo" che vi porterà su MicroMega on line dove è stato pubblicato l'articolo originale completo.
..... questo post è il riassunto dell'articolo completo che potrete leggere cliccando qui sotto su "Link articolo" che vi porterà su MicroMega on line dove è stato pubblicato l'articolo originale completo.
Link articolo © Simona Maggiorelli © MicroMega
online.
Simona
Maggiorelli: Attacco all'arte. La bellezza negata
(L'asino d'oro edizioni 2017).
Nessun commento:
Posta un commento