Tra tutte le esperienze quella dell'autobus è stata la più
esilarante. Qui l'autobus viene chiamato colectivo e posso a ragione confermare
che si tratta di un nomen omen.
Perché raccoglie, unisce in un unico spazio tutti gli esseri viventi (e non)
dell'Amazzonia peruviana.
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Tutto inizia con la fermata dell'autobus. Non esiste. Devi
chiedere in giro più o meno quale percorso fa e scegli a caso il punto che più
ti aggrada e aspetti. Io sono solita sostare vicino ad una bodega dove posso ammazzare il tempo comprandomi ogni tipo di
schifezza fritta: platanito dolce o
salato, camote, cancha e quando mi sento particolarmente gringa* patatine fritte.
L'attesa, rigorosamente sotto il sole
cocente della zona equatoriale o in alternativa sotto la pioggia temporalesca e
fitta tipica della zona pluviale (in una stessa giornata si alternano questi
climi con una velocità impressionante) è particolarmente stressante.
Con una
frequenza di uno ogni 10 secondi si avvicinano motocarristi
che vogliono trasportarmi.
A quanto pare è quasi una
vergogna che una straniera possa aspettare un autobus o peggio osare pensare di
fare quattro passi a piedi (lo stesso mi capita quando provo a camminare per
100 metri). Eppure dopo qualche giorno
di permanenza in città mi rendo conto che la mia provenienza non c'entra nulla:
è che qui proprio nessuno cammina. Per
andare a comprare il pane prendono la moto, probabilmente perché attraversare
la strada in mezzo al traffico è più pericoloso di dormire una notte insieme ad
un'anaconda condividendo il cuscino.
Provano così pena per i pedoni che a volte
l'autista dell'autobus carica gente
aggratis quando la vede passeggiare per strada, promettendole di portarla a
destinazione, qualsiasi essa sia. Ma non divaghiamo. La mia fama con i
motocarristi di solito risulta esilarante per la gente del luogo che se la ride
dicendomi “todos te quieren llevar” (che poi non ho mai capito se significa che
mi vogliono portare da qualche parte o portarmi via definitivamente, io, in
ogni caso, rispondo con un sorriso ).
Il colectivo
può passare dopo un minuto o dopo un'ora, ma visto che vivo a Palermo non mi
sconvolgo più di tanto. Riuscire ad individuare il tuo bus è difficile, il
numero è scritto in caratteri minuscoli che manco se hai dieci decimi. Se sei
fortunato a riconoscerlo in tempo devi fare un segnale per palesare il tuo
interesse e l'autista comunque non si fermerà, semplicemente rallenterà.
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Ma niente paura, se non dovessi riuscire
ad “agarrar” il colectivo in corsa
(acchiappare) ci sarà sempre il mitico cobrador
che ti prenderà con un braccio e ti solleverà fino a dentro. Ho preso più volte
l'autobus e tutte le volte, una volta dentro, ho provato quella sensazione di
orgoglio personale misto ad adrenalina tipico delle sfide agonistiche.
Aggrappandoti a qualsiasi cosa e tentando di mantenere una posizione eretta,
giacché intanto l'autista accelera, cerco posto.
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Durante queste folli corse stile motocross (
perché va aggiunto le strade sono piene di buchi) capita che durante il
sorpasso un colectivo sdradichi lo specchietto retrovisore dell'altro. Niente
paura, inizia la rincorsa. Ad essere scioccata sono solo io. Gli altri
passeggeri continuano a gustare i loro succhi a base di dolciastri frutti della
foresta e a masticare roba pastosa che dicono essere fatta da tuberculos. Al
primo semaforo il cobrador dell'autobus leso scende e corre verso l'autobus
reo, torna vittorioso con la plata ( il denaro necessario a risarcire lo
specchietto). L'autista riparte con la solita fretta ma al semaforo successivo,
nel giro di 30 secondi, è in grado di smontare lo specchietto rotto e di montare
quello nuovo, che è miracolosamente apparso da chissaddove. L'autista
dell'autobus che prendo solitamente, che ormai riconosco e saluto con un cenno
(non esageriamo, non siamo così amici) ha la malsana abitudine di tenere il suo
cellulare sulla coscia. Ad ogni frenata gli cade tra i pedali. Ma non si può
mica rallentare o addirittura FERMARSI! Ecco che arriva il cobrador che si
arrampica tra i sacchi di carbone e papaye e gli si infila in mezzo alle gambe,
recuperando il tesoro. In un'ora di tragitto la scena si è ripetuta tre volte.
Avrei voluto consigliargli qualcosa ma mi sono trattenuta, aspettando la
quarta.
L'autista può di nuovo alzare il volume della musica latina, a palla
ovviamente. I motivetti ti entrano nella testa e non vanno più via, mai più. Di solito il testo parla di gente tradita e abbandonata che si lamenta del suo infame destino, ma il ritmo della musica è allegro e ti fa partire il movimento dell'anca.
Non è ben chiaro il motivo per cui la musica sia sempre così alta,
il che peraltro contrasta con il tono di voce dei loretani che è molto basso.
Mi rendo conto con il tempo che la gente qua comunica con lo sguardo e con dei
movimenti della testa, anche con me ci provano ma io non ho ancora provato a
decifrare e quindi li disturbo facendo loro mille domande e sperando in una
risposta. Ho imparato comunque a leggere il labiale in questo mese,
raggiungendo un buon livello di comunicazione .
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Dopo un'oretta di percorso disagevole il cobrador è pronto al
suo ruolo principale : fare pagare il biglietto ( cobrador significa proprio
questo : colui che si fa pagare). O meglio, farsi pagare e basta perché non ho
mai visto un biglietto. Inspiegabilmente ricorda perfettamente in che punto sei
salito sul carro e ti fa pagare in base al tragitto che percorri. Si avvicina
il momento di scendere ed io sudo freddo, non si fermerà, se sono fortunata
rallenterà avendo pietà di una straniera. Vengo lanciata più o meno nella zona
in cui c'è la mia scuola. Sì, lanciata.
Con incintamento del cobrador che
stavolta urla baja! baja! baja! baja!( scendi!).
Sono salva per qualche ora, finché
non devo prendere il colectivo del ritorno.
E inizia un altro viaggio della
speranza.
*gringo originariamente era definito colui che proveniva
dagli Stati Uniti, adesso diventa gringo qualsiasi straniero, dove per
straniero viene considerato pure uno che viene da Lima.
2 commenti:
Fantastico!
Divertente. Mi è sembrato di essere io stessa sul colectivo.. brum brum
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