domenica 18 settembre 2016

L'esperienza dell'autobus a Iquitos, la più famosa città peruviana della Foresta Amazzonica

Tra tutte le esperienze quella dell'autobus è stata la più esilarante. Qui l'autobus viene chiamato colectivo e posso a ragione confermare che si tratta di un nomen omen. Perché raccoglie, unisce in un unico spazio tutti gli esseri viventi (e non) dell'Amazzonia peruviana. 

Ma andiamo per gradi. Il colectivo altro non è che un autobus di legno con i finestrini aperti, ma che nasconde dei vetri estraibili in caso di pioggia torrenziale. Se piove poco invece è norma che ci si bagni. 

Tutto inizia con la fermata dell'autobus. Non esiste. Devi chiedere in giro più o meno quale percorso fa e scegli a caso il punto che più ti aggrada e aspetti. Io sono solita sostare vicino ad una bodega dove posso ammazzare il tempo comprandomi ogni tipo di schifezza fritta: platanito dolce o salato, camote, cancha e quando mi sento particolarmente gringa* patatine fritte.

 L'attesa, rigorosamente sotto il sole cocente della zona equatoriale o in alternativa sotto la pioggia temporalesca e fitta tipica della zona pluviale (in una stessa giornata si alternano questi climi con una velocità impressionante) è particolarmente stressante.

Con una frequenza di uno ogni 10 secondi si avvicinano motocarristi 
che vogliono trasportarmi.

A quanto pare è quasi una vergogna che una straniera possa aspettare un autobus o peggio osare pensare di fare quattro passi a piedi (lo stesso mi capita quando provo a camminare per 100 metri).  Eppure dopo qualche giorno di permanenza in città mi rendo conto che la mia provenienza non c'entra nulla: è che qui proprio  nessuno cammina. Per andare a comprare il pane prendono la moto, probabilmente perché attraversare la strada in mezzo al traffico è più pericoloso di dormire una notte insieme ad un'anaconda condividendo il cuscino. 
Provano così pena per i pedoni che a volte l'autista dell'autobus carica gente aggratis quando la vede passeggiare per strada, promettendole di portarla a destinazione, qualsiasi essa sia. Ma non divaghiamo. La mia fama con i motocarristi di solito risulta esilarante per la gente del luogo che se la ride dicendomi “todos te quieren llevar” (che poi non ho mai capito se significa che mi vogliono portare da qualche parte o portarmi via definitivamente, io, in ogni caso, rispondo con un sorriso ). 

Il colectivo può passare dopo un minuto o dopo un'ora, ma visto che vivo a Palermo non mi sconvolgo più di tanto. Riuscire ad individuare il tuo bus è difficile, il numero è scritto in caratteri minuscoli che manco se hai dieci decimi. Se sei fortunato a riconoscerlo in tempo devi fare un segnale per palesare il tuo interesse e l'autista comunque non si fermerà, semplicemente rallenterà. 
Inizia una fase delicata dell'esperienza: attimi di panico in cui il tuo unico obiettivo è riuscire a comunicare con il cobrador, una figura emblematica del mondo del trasporto pubblico: un personaggio la cui età e sesso sono estremamente variabili (un mio alunno, ad esempio, faceva questo lavoro) che ha molteplici ruoli. Abbannìa (termine siciliano per "urlare con ritmo cadenzato") appeso all'entrata del bus, invitando la gente a salire e in una frazione di secondo riesce a elencarti tutte le fermate più importanti del percorso. Che poi ritornando a quanto detto sopra, non indica tanto le fermate ma approssimativamente le zone in cui eventualmente si potrà fermare. Riesco a chiedergli se è il bus giusto per la mia destinazione ma non ricevo risposta verbale, solo un cenno con la testa e inizia l'incitamento degno di un'olimpiade : Sube! sube !sube! sube! Sube! (Sali! Sali!), grida il cobrador, e con un balzo il tuo piede deve toccare il primo scalino dell'entrata, rischiando tibia e malleolo e qualche legamento qua e là. 
Ma niente paura, se non dovessi riuscire ad “agarrar” il colectivo in corsa (acchiappare) ci sarà sempre il mitico cobrador che ti prenderà con un braccio e ti solleverà fino a dentro. Ho preso più volte l'autobus e tutte le volte, una volta dentro, ho provato quella sensazione di orgoglio personale misto ad adrenalina tipico delle sfide agonistiche. Aggrappandoti a qualsiasi cosa e tentando di mantenere una posizione eretta, giacché intanto l'autista accelera, cerco posto.

I sedili. Altro capitolo. Fatti a misura di loretano (della regione di Loreto, il cui centro più importante è appunto Iquitos), ovviamente, non riescono ad ospitare le mie gambe. Torno in Italia piena di lividi sulle ginocchia, oltre che a miriadi di morsi di insetti della foresta. Una volta però sono stata fortunata e un sedile davanti a me era rotto, lasciandomi spazio per distendere le gambe.
Un raro momento di felicità, durato molto poco perché era ora di punta e il bus si è riempito. Una ragazza trasportava una torta di compleanno e ha pensato bene di adagiarmela addosso. C'è una grande forma di solidarietà e condivisione all'interno di un colectivo. Normalmente viene utilizzato dai locali per trasportare qualsiasi cosa dal mercato di Belen, molto economico, verso le zone residenziali della periferia ( dove per residenziali si intende baracche di legno in mezzo alla foresta). Tutti aiutano il cobrador ad aiutare la gente a caricare sull'autobus mercanzie come interi alberi di platano, quintali di limoni, sacchi di riso o mais, financo polli vivi. Il cobrador ha anche il fondamentale compito di acchiappare i bambini che salgono sull'autobus per evitare che si perda tempo e che l'autista debba rallentare ulteriormente per aspettare questi piccoli esserini che con le loro piccole gambette non riescono a salire velocemente. Così li prende di peso, insieme ai sacchi della spesa della mamma. L'autobus va a grande velocità e si infila in mezzo ai motocarri e alle moto, convinto di essere anche lui uno di loro. E se non lo fanno passare usa il clacson, che risuona in mezzo al traffico con una melodia particolarmente persistente.
Durante queste folli corse stile motocross ( perché va aggiunto le strade sono piene di buchi) capita che durante il sorpasso un colectivo sdradichi lo specchietto retrovisore dell'altro. Niente paura, inizia la rincorsa. Ad essere scioccata sono solo io. Gli altri passeggeri continuano a gustare i loro succhi a base di dolciastri frutti della foresta e a masticare roba pastosa che dicono essere fatta da tuberculos. Al primo semaforo il cobrador dell'autobus leso scende e corre verso l'autobus reo, torna vittorioso con la plata ( il denaro necessario a risarcire lo specchietto). L'autista riparte con la solita fretta ma al semaforo successivo, nel giro di 30 secondi, è in grado di smontare lo specchietto rotto e di montare quello nuovo, che è miracolosamente apparso da chissaddove. L'autista dell'autobus che prendo solitamente, che ormai riconosco e saluto con un cenno (non esageriamo, non siamo così amici) ha la malsana abitudine di tenere il suo cellulare sulla coscia. Ad ogni frenata gli cade tra i pedali. Ma non si può mica rallentare o addirittura FERMARSI! Ecco che arriva il cobrador che si arrampica tra i sacchi di carbone e papaye e gli si infila in mezzo alle gambe, recuperando il tesoro. In un'ora di tragitto la scena si è ripetuta tre volte. Avrei voluto consigliargli qualcosa ma mi sono trattenuta, aspettando la quarta.

 I colectivos  sobbalzano ad ogni scaffa come una barchetta sulle onde. Durante uno di questi salti ( in cui ho sentito il sapore della mia milza per quanto è stato violento) ad un signore cade un sol (moneta locale, corrispondente a circa 30 centesimi di euro) dentro la borsa della spesa della mia vicina di posto. Panico generale perché il suddetto signore deve scendere a breve. Anche in questo caso  funziono bene come poggia cose : la vecchietta mi svuota addosso il contenuto della borsa : due cetrioli giganti, 3 banane, una bottiglia di un succo non meglio identificato, caramelle, pillole sfuse ( mi confessa che servono per la pressione), una busta con un pollo ,stavolta morto e fatto a pezzi. Finalmente spunta la moneta, siamo tutti rilassati. 
L'autista può di nuovo alzare il volume della musica latina, a palla ovviamente. I motivetti ti entrano nella testa e non vanno più via, mai più. Di solito il testo parla di gente tradita e abbandonata che si lamenta del suo infame destino, ma il ritmo della musica è allegro e ti fa partire il movimento dell'anca.  
Non è ben chiaro il motivo per cui la musica sia sempre così alta, il che peraltro contrasta con il tono di voce dei loretani che è molto basso. Mi rendo conto con il tempo che la gente qua comunica con lo sguardo e con dei movimenti della testa, anche con me ci provano ma io non ho ancora provato a decifrare e quindi li disturbo facendo loro mille domande e sperando in una risposta. Ho imparato comunque a leggere il labiale in questo mese, raggiungendo un buon livello di comunicazione .  

Il vento è molto forte, come se fossi in barca. Io ero solita incappucciarmi sia per mantenere una decenza della mia capigliatura ( qua le donne hanno i capelli splendidamente lisci e non si scompigliano mai), sia per evitare malanni.
Dopo un'oretta di percorso disagevole il cobrador è pronto al suo ruolo principale : fare pagare il biglietto ( cobrador significa proprio questo : colui che si fa pagare). O meglio, farsi pagare e basta perché non ho mai visto un biglietto. Inspiegabilmente ricorda perfettamente in che punto sei salito sul carro e ti fa pagare in base al tragitto che percorri. Si avvicina il momento di scendere ed io sudo freddo, non si fermerà, se sono fortunata rallenterà avendo pietà di una straniera. Vengo lanciata più o meno nella zona in cui c'è la mia scuola. Sì, lanciata
Con incintamento del cobrador che stavolta urla baja! baja! baja! baja!( scendi!).
Sono salva per qualche ora, finché non devo prendere il colectivo del ritorno. 
E inizia un altro viaggio della speranza.


*gringo originariamente era definito colui che proveniva dagli Stati Uniti, adesso diventa gringo qualsiasi straniero, dove per straniero viene considerato pure uno che viene da Lima.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Fantastico!

Anonimo ha detto...

Divertente. Mi è sembrato di essere io stessa sul colectivo.. brum brum